LASCIATE OGNI SPERANZA, VOI CH’ENTRATE. (Inferno, Canto III, vv. 1-9)
Così inizia la nostra avventura all'Orrido di Botri, un profondo canyon scavato dalle acque del Rio Pelago che scende dalle pendici di Foce a Giovo, al confine tra Toscana ed Emilia. Abituati ad andare verso l'alto, questa volta abbiamo provato a stare con i piedi per terra, o per meglio dire "in acqua". Attrezzati al minimo necessario, scarpe da ginnastica e pantaloni corti, ci siamo presentati al centro visite di Ponte a Gaio. Abbiamo indossato il caschetto protettivo e assieme al nostro Virgilio, una guida del parco, ci siamo incamminati verso la "selva oscura". Dopo un primo tratto largo e asciutto, la gola si fa stretta e ci costringe a bagnarci i piedi, d'altra parte siamo venuti proprio per questo. Ben presto ci troviamo sormontati da pareti alte e scoscese sulle quali ci dicono nidifica l'aquila, ma non l'abbiamo vista. Il percorso prosegue senza grandi difficoltà, tranne quella di stare in piedi su sassi umidi e scivolosi, meglio passare in mezzo dove l'acqua arriva alle ginocchia. Tra prove di forza e di coraggio, che coinvolgono anche la guida abituata ai soliti visitatori del weekend, giungiamo al termine del percorso che ci eravamo prefissati, la piscina. Qui i più intrepidi si immergono e si tuffano. Il tempo di gustarci un tardo temporale settembrino, ci giriamo indietro e torniamo alla base. Cambiati e asciugati facciamo rientro a casa. Non siamo andati verso l'alto, ma ne è comunque valsa la pena: il luogo è suggestivo e selvaggio.
domenica 16 settembre 2007
sabato 7 luglio 2007
Monte Zebrù (3.740 mt) - la vetta
A distanza di due anni, riprendiamo il nostro progetto di salire il monte Zebrù (grado PD-, 700+900mt). Due anni fa al terzo compagno caduto nei crepacci abbiamo dovuto desistere ma avevamo promesso di tornare ed eccoci qui. Questa volta ci lasciamo convincere ad utilizzare il servizio navetta e così in breve siamo alla Baita del Pastore. Sarà segno dei tempi o determinazione a conservare le energie per portare a termine l’avventura….
Questa volta il tempo è soleggiato e ci gustiamo con calma la ripida salita al rifugio. Incontriamo Michele che scende a fare rifornimento di pane e vediamo con piacere che ha acquistato un trattorino per portare il cibo al rifugio. Fino a ieri saliva e scendeva quasi tutti i giorni a prendere il pane fresco portandolo in spalla al rifugio….un bel allenamento!!
Nel primo pomeriggio arriviamo al rifugio e ci crogioliamo al sole come lucertole in attesa della cena. La mattina partiamo presto, il cielo è terso e l’aria pungente. Il percorso lo conosciamo bene e quindi saliamo decisi i primi pendii. Il ghiacciaio è coperto dalla neve, ma la temperatura rigida questa volta ci da maggiore sicurezza. Con calma ma decisi arriviamo in prossimità del Bivacco Città di Cantù che lasciamo alla nostra sinistra, piegando decisamente a destra per la ripida pala finale, dopo una breve sosta a prendere fiato. Il pendio è ventato e ma non troppo duro. Gli ultimi metri sono i più ripidi e decidiamo di spostarci tutto a destra della vetta, dove il pendio sembra essere più docile. Procediamo con molta cautela, questo tratto è tecnicamente il più difficoltoso della salita (50°). Raggiunta la cresta, uno alla volta, in fila raggiungiamo per l’aerea cresta finale la vetta. Questa volta lo Zebrù ci ha permesso di salire. La vista sul GranZebrù e l’Ortles è magnifica, eleganti e sinuose appaiono le creste Suldengrat (D) ed Hochjochgrat (AD). Queste due vette, tanto diverse quanto desiderate, entrano nei nostri sogni. Prima o poi entreranno nei nostri progetti. Una breve sosta per mangiare e riprendere fiato, quindi scendiamo quanto già molti altri alpinisti stanno attaccando la pala finale per darci il cambio. Del resto sulla vetta non ci si stà in tanti...
Questa volta il tempo è soleggiato e ci gustiamo con calma la ripida salita al rifugio. Incontriamo Michele che scende a fare rifornimento di pane e vediamo con piacere che ha acquistato un trattorino per portare il cibo al rifugio. Fino a ieri saliva e scendeva quasi tutti i giorni a prendere il pane fresco portandolo in spalla al rifugio….un bel allenamento!!
Nel primo pomeriggio arriviamo al rifugio e ci crogioliamo al sole come lucertole in attesa della cena. La mattina partiamo presto, il cielo è terso e l’aria pungente. Il percorso lo conosciamo bene e quindi saliamo decisi i primi pendii. Il ghiacciaio è coperto dalla neve, ma la temperatura rigida questa volta ci da maggiore sicurezza. Con calma ma decisi arriviamo in prossimità del Bivacco Città di Cantù che lasciamo alla nostra sinistra, piegando decisamente a destra per la ripida pala finale, dopo una breve sosta a prendere fiato. Il pendio è ventato e ma non troppo duro. Gli ultimi metri sono i più ripidi e decidiamo di spostarci tutto a destra della vetta, dove il pendio sembra essere più docile. Procediamo con molta cautela, questo tratto è tecnicamente il più difficoltoso della salita (50°). Raggiunta la cresta, uno alla volta, in fila raggiungiamo per l’aerea cresta finale la vetta. Questa volta lo Zebrù ci ha permesso di salire. La vista sul GranZebrù e l’Ortles è magnifica, eleganti e sinuose appaiono le creste Suldengrat (D) ed Hochjochgrat (AD). Queste due vette, tanto diverse quanto desiderate, entrano nei nostri sogni. Prima o poi entreranno nei nostri progetti. Una breve sosta per mangiare e riprendere fiato, quindi scendiamo quanto già molti altri alpinisti stanno attaccando la pala finale per darci il cambio. Del resto sulla vetta non ci si stà in tanti...
Lungo la salita al rifugio
il percorso di salita della pala finale dal Bivacco Città di Cantù
l'area cresta finale dalla vetta