La Val Zebrù è una perla di rara suggestione del Parco Nazionale dello Stelvio e si dirama per oltre 11 km dalla Valfurva. Dal parcheggio di Niblogo (1.600 mt) si segue la comoda strada sterrata che risale la valle fino alla Baita del Pastore (2.168 mt). La passeggiata è facile e adatta davvero a tutti, ma per chi deve salire al rifugio V° Alpini, questa tappa è solo a metà del percorso…mancano ancora 700 mt di dislivello, ma questo “avvicinamento” ha già richiesto quasi 3 ore di cammino…..Per questo motivo, volendo risparmiare tempo, è possibile utilizzare un servizio privato di navetta che porta in 20 minuti alla Baita del Pastore. Noi abbiamo tutto il giorno davanti, quindi decidiamo di fare il percorso completo e dopo aver attraversato paesaggi di suggestiva bellezza facciamo sosta alla Baita del Pastore per pranzare e riposarci prima di proseguire. Da qui la strada diventa un ripido sentiero che in breve tempo guadagna quota e in un paio di ore conduce al rifugio V° Alpini. Intanto inizia a piovere e l’ultima ora la percorriamo sotto un'acqua fastidiosa. Il rifugio è accogliete e gestito in modo ammirevole da Michele, un ragazzo giovanissimo che mette tanta passione per portare avanti un rifugio tutt’altro che comodo da gestire e rifornire, ma in una posizione davvero incredibile e panoramica. Salendo pochi metri si raggiunge il ghiacciaio. Smette di piovere e si riapre il cielo, decidiamo quindi di fare un sopralluogo sul ghiacciaio. La temperatura è molto elevata e questo ci preoccupa un po’, perché il ghiacciaio dello Zebrù è solitamente molto crepacciato e insidioso. Rientriamo per la cena, siamo in ottima compagnia con un bel gruppo del CAI con cui intoniamo canti fino al momento di darci appuntamento per la mattina. Abbiamo lo stesso obiettivo, il Monte Zebrù. La mattina ci alziamo molto presto, prima del gruppo CAI, per prendere più fresco possibile lungo il ghiacciaio. Ma è sempre molto caldo, siamo sicuramente sopra lo zero anche alle 4.30 di mattina. Partiamo dividendoci in cordate da 3 o 4 per salire più sicuri. Dopo il primo tratto di sfasciumi saliamo sul ghiacciaio. Per ora è scoperto, solo ghiaccio vivo e nero, nessuna difficoltà ad individuare il percorso. Attraversiamo la lingua di ghiacciaio che scende dal versante Sud Est del GranZebrù in direzione Nord Est, verso la lingua che sale al Bivacco Città di Cantù. Dopo poco iniziamo a calpestare uno strato di neve inconsistente e uniforme, residuo di recenti nevicate. Cerchiamo il percorso migliore, ma al primo tentativo di passare un evidente ponte di neve, il primo di cordata cade in un crepaccio, per fortuna si ferma dopo appena un metro su un blocco di ghiaccio che ostruisce il crepaccio. In brevissimo lo tiriamo fuori e riprendiamo il cammino. Dopo appena 100 metri, il secondo di una cordata di tre sprofonda improvvisamente, con le braccia aperte nel tentativo di non sprofondare oltre. Questa volta i due compagni devono puntellarsi per sostenerlo. Per fortuna siamo in molti, non c’è bisogno di attrezzare paranchi, così un’altra cordata con cautela aiuta a far risalire il malcapitato. Facciamo un momento di pausa e riflettiamo brevemente, continua a far caldo, intanto sopraggiunge il grosso gruppo del CAI. Siamo tentati di farli passare avanti a battere la traccia, ma sembra che abbiano intuito le nostre idee e si tengono ad una certa distanza. Proseguiamo nella speranza che alzandoci di quota i ponti di neve diventino più resistenti. Ci alziamo con molta circospezione di un centinaio di metri di dislivello a circa 3.200 mt., vediamo in lontananza il Bivacco Città di Cantù e a destra la ripida pala finale (50° circa) che conduce alla vetta, sembra fatta. Ma improvvisamente un altro amico cade per la terza volta in un crepaccio; questa volta è sparito alla vista, i compagni di cordata lo trattengono, ma non lo vediamo. Con prudenza ci assicuriamo e iniziamo a preparare un paranco ma siamo in così tanti che appare evidente che facciamo più in fretta sollevandolo tutti insieme dopo averlo assicurato comunque ad una sosta con le picche. Ci vuole un po’ per tirarlo fuori e tutta la sua volontà perché la corda ha tagliato il bordo e non è facile fargli guadagnare il bordo del crepaccio. Alla fine ci riusciamo, ma decidiamo di non rischiare oltre e facciamo marcia indietro. Intanto ci raggiunge il gruppo del CAI, ma è diviso su chi desidera tornare indietro e chi desidera continuare. Alcuni tentato di andare avanti ma dopo poco anch’essi rientrano al rifugio. Oggi non era giornata, è necessario avere il coraggio e l'umiltà di saper rinunciare alla vetta quando le condizioni non lo permettono. Ripercorriamo scrupolosamente il percorso di salita e in breve siamo di nuovo al rifugio, felici nonostante i piccoli spaventi. Ci ripromettiamo di tornare e dopo una birra tutti insieme, scendiamo. Ci aspetta una lunga camminata verso la macchina.







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